venerdì 29 marzo 2019

Dagli inni vedici a Rāma


L'epoca ariana primitiva si disegna attraverso gli inni vedici con una grandiosa purezza di linee ed una patriarcale semplicità, quale si addice ad una età grave e virile, che in nulla somiglia alla infantile età dell'oro sognata dai poeti, poiché né dolore né le lotta ne sono assenti, sibbene v'è negli uomini una fiducia, una forza ed una serenità, che più non si rinviene nella umanità seguente.
In India s'approfondirà poi il pensiero ed i sentimenti si affineranno.
In Grecia le passioni e le idee si avvolgeranno del prestigio dell'arte e delle magiche vesti della bellezza.
Ma nessuna poesia umana supera in elevatezza morale, in altezza e in larghezza intellettuale, alcuni inni vedici, poiché è in essi il sentimento del divino nella natura, dell'invisibile che l'avvolge r della grande unità che penetra tutto.
Oltre all'India dei Veda, oltre l'Iran di Zoroastro, nell'alba crepuscolare della razza bianca, si vede uscire dalle foreste dell'antica Scizia il primo creatore della religione ariana, cinto della sua doppia tiara di conquistatore e d'iniziato, con fuoco mistico nella sua mano; il fuoco sacro che illuminerà tutte le razze.
Ci appare sotto il nome di Rāma, re indiano avvolto negli splendori di un'avanzata civiltà, che però conserva le sue caratteristiche distinte d'iniziato e conquistatore che tutto rinnova.
Rāma, votato al sacerdozio, benché la sua anima raccolta e il suo spirito profondo si ribellassero al culto sanguinario delle profetesse e i loro sacrifici umani.
Dolce e grave, il giovane druido aveva fin dall'inizio mostrato una singolare attitudine alla conoscenza delle piante e delle loro virtù meravigliose, dei succhi vegetali preparati e distillati, ed allo studio degli astri e dei loro influssi.
Parea che tutto divinasse e le cose lontane potesse vedere.
Da ciò la sua precoce autorità sui vecchi druidi, fondata altresì sulla benevola grandezza emanate dalle sue parole e da tutto l'essere suo, sì che profondo era il contrasto fra la follia delle druidesse, che gridavano maledizioni nei nefasti oracoli dettati durante il convulso delirio e la saggezza di Rāma.
I druidi lo chiamavano "colui che sa", e il popolo lo disse "l'ispirato della pace".
Tratto da "I grandi iniziati. Volume primo" di Edoardo Schuré

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