La razza rossa occupava il continente australe oggi sommerso; quel continente che Platone, seguendo le tradizioni egiziane, chiamò Atlantide.
Un formidabile cataclisma lo distrusse in parte e ne disperse gli avanzi.
Molte razze polinesiane, come anche gli indiani dell'America del Nord e gli Aztechi trovati nel Messico, sono i superstiti di quella antica razza rossa, la cui realtà ormai perduta per sempre, ebbe una vita fulgida di gloria e splendori.
Dopo questa, la razza nera entrò nel dominio.
Bisogna cercarne il tipo superiore anziché nel nero degenere, nell'abissino e nel nubiano, in cui si conserva il modello della razza giunta già dall'apogeo.
I neri invasero il sud dell'Europa nei tempi preistorici e ne furono scacciati dai bianchi.
Il loro ricordo si è cancellato completamente dalle nostre tradizioni popolari; essi vi hanno però lasciato due impronte indistruttibili; l'orrore del dragone, che fu l'emblema dei loro re, e l'idea che il diavolo è nero.
Molte razze polinesiane, come anche gli indiani dell'America del Nord e gli Aztechi trovati nel Messico, sono i superstiti di quella antica razza rossa, la cui realtà ormai perduta per sempre, ebbe una vita fulgida di gloria e splendori.
Dopo questa, la razza nera entrò nel dominio.
Bisogna cercarne il tipo superiore anziché nel nero degenere, nell'abissino e nel nubiano, in cui si conserva il modello della razza giunta già dall'apogeo.
I neri invasero il sud dell'Europa nei tempi preistorici e ne furono scacciati dai bianchi.
Il loro ricordo si è cancellato completamente dalle nostre tradizioni popolari; essi vi hanno però lasciato due impronte indistruttibili; l'orrore del dragone, che fu l'emblema dei loro re, e l'idea che il diavolo è nero.
I neri restituirono l'ingiuria alla razza rivale facendo il bianco il diavolo loro.
Nei tempi della loro sovranità i neri ebbero centri religiosi nell'alto Egitto e nell'India, e le loro città ciclopiche si estendevano lungo le creste montuose dell'Africa, del Caucaso e dell'Asia centrale.
La loro organizzazione sociale consisteva in una teocrazia assoluta.
Al sommo della scala sociale stavano i sacerdoti, temuti come dei, all'imo tribù brulicante, senza famiglia riconosciuta con la donna schiava
Questi sacerdoti avevano conoscenze profonde fra le quali il principio dell'unità divina dell'universo e il culto degli astri, che sotto il nome di sabeismo si infiltrò presso i popoli bianchi.
Ma fra la scienza dei sacerdoti neri e il grossolano feticismo delle masse non c'erano intermediari, non c'era arte idealista, né mitologia suggestiva.
In questa razza, possente per la resistenza fisica e l'energia passionale e la capacità di attaccamento, la religione rappresentò il regno della forza terrificante.
La natura e Dio non apparvero quasi alla coscienza di questi popoli fanciulli che era sotto la forma del dragone, il terribile animale antidiluviano dipinto sulle bandiere dei re e scolpito dai sacerdoti sulla porta del loro templi.
Se il sole africano ha generato da razza nera, si può dire che i ghiacci del polo artico hanno veduto spuntare la razza bianca.
Sono i popoli iperborei, di cui parla la greca mitologia, uomini dai rossi capelli e dall'occhio glauco, discesi dal Nord attraverso le foreste illuminate dai bagliori boreali, seguiti da cani e da renne, comandati da capi temerari e spinti da donne veggenti.
Crini d'oro e occhi azzurri; colori predestinati.
Questa razza doveva inventare il culto del sole e del fuoco sacro, recando fra gli uomini la nostalgia del cielo, contro il quale talvolta sentirà impulsi di ribellione fino a tentarne la scalata, mentre altre volte si postrernerà davanti ai suoi splendori in una adorazione assoluta.
Come le altre razze, anche la razza bianca dovete liberarsi dallo stato selvaggio prima di assumere coscienza di sé.
Segni suoi distintivi sono l'amore alla libertà individuale, la sensibilità riflessa, che crea il potere della simpatia, e il predominio dell'intelletto che dà all'immaginazione un'inclinazione idealista e simboleggiante.
La sensibilità dell'anima produce l'attaccamento, la preferenza dell'uomo per una sola donna e quindi la tendenza di questa razza alla monogamia donde il principio coniugale e la famiglia.
Il bisogno di libertà, congiunto con quello della socialità, creò il clan col suo principe elettivo, e l'immaginazione ideale creò il culto degli avi, radice e fulcro della religione presso i popoli bianchi.
Tratto da "I grandi iniziati. Volume primo" di Edoardo Schuré
Nei tempi della loro sovranità i neri ebbero centri religiosi nell'alto Egitto e nell'India, e le loro città ciclopiche si estendevano lungo le creste montuose dell'Africa, del Caucaso e dell'Asia centrale.
La loro organizzazione sociale consisteva in una teocrazia assoluta.
Al sommo della scala sociale stavano i sacerdoti, temuti come dei, all'imo tribù brulicante, senza famiglia riconosciuta con la donna schiava
Questi sacerdoti avevano conoscenze profonde fra le quali il principio dell'unità divina dell'universo e il culto degli astri, che sotto il nome di sabeismo si infiltrò presso i popoli bianchi.
Ma fra la scienza dei sacerdoti neri e il grossolano feticismo delle masse non c'erano intermediari, non c'era arte idealista, né mitologia suggestiva.
In questa razza, possente per la resistenza fisica e l'energia passionale e la capacità di attaccamento, la religione rappresentò il regno della forza terrificante.
La natura e Dio non apparvero quasi alla coscienza di questi popoli fanciulli che era sotto la forma del dragone, il terribile animale antidiluviano dipinto sulle bandiere dei re e scolpito dai sacerdoti sulla porta del loro templi.
Se il sole africano ha generato da razza nera, si può dire che i ghiacci del polo artico hanno veduto spuntare la razza bianca.
Sono i popoli iperborei, di cui parla la greca mitologia, uomini dai rossi capelli e dall'occhio glauco, discesi dal Nord attraverso le foreste illuminate dai bagliori boreali, seguiti da cani e da renne, comandati da capi temerari e spinti da donne veggenti.
Crini d'oro e occhi azzurri; colori predestinati.
Questa razza doveva inventare il culto del sole e del fuoco sacro, recando fra gli uomini la nostalgia del cielo, contro il quale talvolta sentirà impulsi di ribellione fino a tentarne la scalata, mentre altre volte si postrernerà davanti ai suoi splendori in una adorazione assoluta.
Come le altre razze, anche la razza bianca dovete liberarsi dallo stato selvaggio prima di assumere coscienza di sé.
Segni suoi distintivi sono l'amore alla libertà individuale, la sensibilità riflessa, che crea il potere della simpatia, e il predominio dell'intelletto che dà all'immaginazione un'inclinazione idealista e simboleggiante.
La sensibilità dell'anima produce l'attaccamento, la preferenza dell'uomo per una sola donna e quindi la tendenza di questa razza alla monogamia donde il principio coniugale e la famiglia.
Il bisogno di libertà, congiunto con quello della socialità, creò il clan col suo principe elettivo, e l'immaginazione ideale creò il culto degli avi, radice e fulcro della religione presso i popoli bianchi.
Tratto da "I grandi iniziati. Volume primo" di Edoardo Schuré
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