lunedì 27 febbraio 2017

"Et in Arcadia ego"; l'epitaffio misterioso legato alla tomba di Poussin

Poussin è uno dei più famosi pittori francesi, noto anche per essere stato il pittore di corte del re Luigi XIII e per aver supervisionato i lavori per la realizzazione del Louvre, ma a partire dai trent'anni si stabilì definitivamente a Roma, dove nel 1626 ricevette la prima commissione dai conti Barberini per la realizzazione di un grande dipinto, il sacco del tempio di Gerusalemme da parte dell'imperatore Tito, creduto per molto tempo perduto è ritrovato recentemente dal critico Denis Mahon.
Fautore prima dello stile barocco, Poussin, a partire dal 1630, cominciò ad abbandonare del tutto quel gusto artistico, per una rimeditazione, attraverso una ricerca di chiarezza razionale, nel senso dell'esistenza e del ruolo dell'arte come transito oltremondano.
A Roma Poussin morì nel 1665 e fu sepolto proprio all'interno della chiesa a Campo Marzio.
Il suo monumento funebre è tra i più enigmistici.
La tomba di concepita da François René de Chateaubriand (attivo a Roma fra il 1802 e il 1804), come si legge nella dedica in epigrafe subito al di sotto del busto del pittore (realizzato dallo scultore Luois-Jean Desprez): "F.-R. De Chateaubriand a Nicolas Poussin per la gloria delle arti e l'onore della Francia".
L'epitaffio invece, scritto da Pietro Bellori, il bibliotecario della regina Cristina di Svezia, recita: "Trattieni il sincero pianto. In questa tomba vive Poussin che aveva dato la vita ignorando egli stesso di morire; qui egli giace, ma egli vive e parla nei quadri".
Al di sotto dell'epitaffio è realizzato in bassorilievo il profilo di un suo celebre capolavoro:
Pastori in Arcadia, che oggi e conservato al Museo del Louvre di Parigi e che esiste anche in un'altra versione del 1627 del pittore stesso, conservata in Inghilterra a Chatsworth House.
E sotto questa rappresentazione, è inscritto il celebre motto "Et in Arcadia ego", intorno al quale sono sorte le leggende più disparate e al quale sono stati dedicati interi libri.
Poussin fu il primo a utilizzare il motto che appare per la prima volta in un dipinto del Guercino, realizzato intorno al 1620.
La frase si riferisce alla mitica regione della Grecia, l'Arcadia, dove la leggenda narra che i pastori vivevano una vita idilliaca, lontano dai clamori e dagli affanni del tempo, della guerra e di ogni altra miseria umana.
La frase però risulta monca e priva di verbo.
Se infatti il significano è chiaramente; "anche io (sono stato o sono) in Arcadia", è evidente che manca il verbo -sum-  che dovrebbe essere posto dopo il soggetto ego.
La citazione è stata interpretata come un
memento mori.. in pratica il significato della frase sembra essere: "Anche la persona che riposa in questa tomba una volta viveva in Arcadia".
Oppure: "Anche io ero un arcade, prima di incontrare la morte".
Il motto latino associato alla scena allegorica è stato ricollegato fantasiosamente con la pseudostoria del Priorato di Sion.
Legame con la morte e la stranezza della frase senza verbo hanno fatto ipotizzare che la citazione conteneva in realtà un codice anagrammato.
C'è chi ha tentato di sciogliere l'enigma componendo la frase "I! Tego arcana Dei" ovvero "Vattene! Io celo i misteri di Dio", alludendo a un mistero del quale Poussin era il corrente, ossia che nella chiesa fosse presente la sepoltura di una importante figura biblica (o addirittura lo stesso Gesù).
Ipotesi rafforzata da altri autori che, aggiungendo sum alla frase, hanno ottenuto l'anagramma: "Arcam dei tango Iesu", ovvero "Io tocco la tomba di Gesù".
In questo caso la tomba del Maestro non sarebbe nella chiesa di San Lorenzo in Lucina ma in un luogo misterioso della Francia che servì da ispirazione a Poussin per il dipinto conservato al Louvre, il quale è modello del bassorilievo tombale.
Arcadia divenne, dopo la morte di Poussin, la più celebre delle Accademie romane, fondata nel 1690 dai frequentatori del circolo di Cristina di Svezia che vollero così proseguire l'opera del pittore e le sue ricerche in ogni campo delle arti e della cultura.
Tratto da "Roma segreta e misteriosa" di Fabrizio Falconi

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