lunedì 23 ottobre 2017

La "magica sapienza" di Dante


Il maggior divario tra il pensiero arcaico e quello moderno sta nell'uso dell'astronomia.
Oggi divenuta capriccio e moda tra il pubblico ignorante....incompresa nei principi.
È necessario risalire ai tempi arcaici, a un universo che non sospetta minimamente della nostra scienza e del metodo sperimentale su cui essa è fondata, inconsapevole dell'arte terribile della separazione che distingue il verificabile dal non verificabile.
Era quello un tempo ricco di un'altra conoscenza andata poi perduta che ricercava principi diversi: esso fornì la lingua franca del passato, la sua era una conoscenza di corrispondenze cosmiche che trovavano riprova e suggello di verità entro uno specifico determismo, anzi, un sovradeterminismo, soggetto a forze totalmente prive di ubicazione.
Il fascino e il rigore del Numero facevano obbligo che le corrispondenze fossero esatte in molte forme (in questo senso Keplero fu l'ultimo degli arcaici).
L'universo appariva determinato non su un solo livello, ma contemporaneamente su molti.
L'universo, completo dei singoli destini per tutto il tempo a venire, era concepito tutto in un unico istante da una folgorazione della mente divina.
Se si parte dal potere del Numero è pensabile in questa prospettiva tutta una logica: fata regunt orbem, certa stant omnia lege .
Dante con "magica sapienza", come dicevano i semplici, abbraccia l'intero percorso, o per meglio dire, l'intero cheminement de la pensée tra due epoche del mondo.
Egli è un aristotelico fino al midollo, impregnato della disciplina del tomismo, e quindi antimatematico per eredità, e tuttavia il suo spirito arriva d'impeto a capire le stelle nelle loro implicazioni pitagoriche.
Durante l'ascesa al regno celeste egli incontra l'amico Carlo Martello (Paradiso, VIII, 34-37), già compagno della sua giovinezza licenziosa e romantica, il quale gli dice che cosa significhi essere tra gli eletti;
Noi ci volgiam coi principi celesti
d'un giro e d'un girare e d'un sete,
ai quali tu del mondo già dicesti:
"Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete".
Si tratta di una delle prime poesie di Dante, per giunta assai celebre, che si rivolge alle intelligenze celesti in uno spirito di aperta venerazione platonica.
Il procedere del suo canto attraverso i tre regni lo mostrerà sempre più avvolto nelle armonie platoniche, proprio come aveva sognato in gioventù, e confermerà effettivamente la sua fede nell'astrologia come dono divino che tiene in ordine la natura.
Sono così salvi i requisiti dell'una e dell'altra dottrina: l'ordinamento della natura per genere è specie (Aristotele) e il libero svilupparsi dell'essere individuale (Tommaso) in una specie di compromesso plotiniano dominato dall'"Armonia delle Sfere".
Tale era l'inimitabile "magica sapienza" di Dante.
Tratto da "Il mulino di Amleto" di de Santillana e von Dechend

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