venerdì 12 gennaio 2018

Tradizione celtica e rivelazione cristiana


Charpentier ritiene che San Colombano, cristiano irlandese educato dai druidi abbia accettato i principi della rivelazione cristiana senza alcuna fatica proprio perché nutrito dalla tradizione celtica.
Nessuno dei dati della rivelazione poteva ferire le convinzioni druidiche che già comprendevano, oltre al Gran Libro della Natura, anche la nascita da una Vergine, l'incarnazione di Dio, la resurrezione e l'immortalità dell'anima.
San Benno (un santo celtico) gridò nella sua ultima ora: "vedo la Trinità, Pietro e Paolo, i druidi e tutti i santi".
E i Celti dietro i loro druidi corsero incontro al cristianesimo, anche se gli entusiasmi si raffreddarono rapidamente di fronte al tentativo di usare la nuova religione come strumento di dominio da parte dei re germanici e dei loro vescovi.
C'è un testo irlandese che descrive bene la delusione celtica nei confronti del cristianesimo, rivelatosi spesso uno strumento di oppressione politica, ed è "La follia di Shuibne" in cui un nobile capo irlandese, quindi celtico, impazzisce vedendo che le Sacre Scritture, che aveva accettato senza riserve, erano interpretate in modo contrario alla natura (come se il rispetto di questa originasse dalla superstizione pagana), rifiutando di riconoscere la magia dei luoghi, dei boschi e delle pietre.
Shiubne in un'accorata perorazione si rivolge direttamente a Gesù Cristo, ben conscio e sicuro del fatto che Egli non approvasse il misfatto che si stava perpetrando ai danni della sua creazione.
I "grandi libri" sono infatti due: il primo è reso leggibile nell'operato stesso della creazione, il secondo è tracciato attraverso i segni e le parole.
Tratto da "I segreti delle cattedrali" di Antonella Roversi Monaco

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