lunedì 10 giugno 2019

L'espiazione dei preti di Osiride


Quando un prete di Osiride aveva commesso un omicidio, anche involontario, egli doveva perdere il beneficio della sua risurrezione anticipata "nella luce di Osiride", privilegio che aveva ottenuto mediante le prove dell'iniziazione, e che lo poneva molto al sopra degli uomini comuni.
Per espiare il suo delitto, per ritrovare la sua luce interna, doveva sottoporsi a prove più crudeli, esporre se stessi ancora una volta alla morte.
Dopo lungo digiuno, e per mezzo di certe bevande, il paziente veniva immerso in un sonno letargico; poi veniva deposto in una caverna del tempio.
Restava là vari giorni, talvolta anche delle settimane.
Durante questo tempo egli faceva un viaggio nell'al di là, nell'Erebo o nella regione dell'Amenti, dove vagano le anime dei morti, che non si sono ancora distaccate dall'atmosfera terrestre.
Là egli doveva cercare la sua vittima, subire le sue angosce, ottenere il suo perdono ed aiutarla a trovare il cammino della luce.
Allora soltanto si considerava ch'egli avesse espiato il suo omicidio, allora soltanto il suo corpo astrale s'era lavato dalle macchie nere, di cui lo insozzavano il soffio avvelenato e le imprecazioni della vittima.
Ma da questo viaggio, reale od immaginario, il colpevole poteva benissimo non tornare più, e spesso, quando i preti andavano per risvegliare l'espiatore dal suo sonno letargico, non trovavano altro che un cadavere.
Tratto da "I grandi iniziati.Volume primo" di Edoardo Schuré

Nessun commento:

Posta un commento