venerdì 13 settembre 2019

Socrate; il Bene, il Bello e il Vero


Per non uscire dal suo ufficio di volgarizzatore rifiutò di farsi iniziare ai misteri eleusini, ma non aveva minori, per questo, il senso e la fede della verità totale e suprema, che si insegnavano ai grandi misteri.
Quando ne parlava, il buono, lo spirituale Socrate mutava di volto, come un fauno ispirato, che un dio signoreggi e domini; il suo occhio s'accendeva, un raggio passava sul suo cranio calvo e dalla sua bocca usciva una di quelle sentenze semplici e luminose che rischiavano il fondo delle cose.
Platone fu irresistibilmente attratto e sogiogato da quest'uomo.
Egli comprese, al solo vederlo, la superiorità del Bene sul Bello, poiché il Bello non realizza il Vero che nel miraggio dell'arte, laddove il Bene si avvera nel profondo delle anime.
Raro e potente fascino, poiché non vi hanno alcuna parte i sensi.
La visione d'una vera giustizia fece impallidire nell'anima di Platone gli splendori abbaglianti dell'arte visibile, per sostituirvi un sogno più divino.
Quest'uomo gli mostrò l'inferiorità della bellezza e della gloria, come le aveva concepite sino allora, dinnanzi alla bellezza e alla gloria dell'anima in azione, che attira per sempre altre anime alla sua verità.
Questa bellezza raggiante eterna, che è "lo splendore del Vero", uccise la bellezza mutevole e ingannatrice nell'anima di Platone.
Ed ecco perché lui si voltò a Socrate, nel fiore della sua giovinezza, con tutta la poesia della sua anima: grande vittoria della Verità sulla Bellezza, che ebbe incommensurabili conseguenze per la storia dello spirito umano.
Tratto da "I grandi iniziati. Volume secondo" di Edoardo Schuré

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